Conosciuta anche come sostanza divina, l’ambra, vanta le sue origini tra numerose leggende del mondo greco e nordico.
Eschilo, drammaturgo attico del VI sec. a.C., ci racconta in uno dei suoi miti, la misteriosa origine di questa curiosa resina fossile.
L’autore scrive della disperazione delle Eliadi, figlie del dio Elio, che assistendo alla morte per annegamento del fratello Fetonte, vengono trasformate da Zeus in pioppi, alberi dai quali si credeva trasudassero le loro lacrime sotto forma di ambra.
Un’ altra interpretazione mitologica sull’origine dell’ambra è rintracciabile in una leggenda lituana che narra dell’amore impossibile tra la dea del mare Jūratė – che abitava nelle profondità del Mar Baltico in un castello d’ambra – e Kastytis, un comune mortale.
Il giovane incontra la dea del mare perché, pescando, stava disturbando l’equilibrio del suo regno.
La dea, che inizialmente sale in superficie per sgridarlo, si innamora del giovane e lo porta nella sua dimora.
Perkūnas, dio del tuono, indignato dal loro amore, scaglia una freccia sul castello d’ambra che frantumandosi, uccide il giovane Kastytis.
Secondo antiche leggende vichinghe, invece, l’ambra sarebbe derivata dalle lacrime degli uccelli marini.
Sul piano etimologico, il termine, giunge probabilmente dall’arabo àmbar, che significa splendore, luccichio.
Si trattava di una resina ricercata in tutto il Meditaerraneo sia per le sue proprietà elettrostatiche (ἤλεκτρον , elektron in greco) che per la realizzazione di monili preziosi.
Con ogni probabilità, è pervenuta in grandi quantità, attraverso rotte mercantili data la mancanza di importanti giacimenti in questa specifica area geografica.
I traffici commerciali seguivano la cosiddetta via dell’ambra: attraverso lunghi itinerari, essa giungeva dalle coste del Mar Baltico, dove il materiale grezzo veniva raccolto, giungendo poi nei paesi del Mediterraneo.
L’ambra era molto apprezzata nel Piceno antico; ad affascinare erano la trasparenza e le sfumature di colore, ma anche le proprietà magiche e terapeutiche che le venivano attribuite. Infatti, nella loro cultura vi è la mancanza di oggetti di ornamento in oro e questa assenza può essere spiegata con la predilezione dei Piceni per l’ambra, lavorata in molti modi e utilizzata per ogni tipo di gioiello.
È durante il VI secolo a.C. che il Piceno assunse un ruolo molto importante nell’approvvigionamento e nel commercio dell’ambra: una delle tappe di questi commerci era lo scalo di Numana, dimostrato dai numerosi elementi di ornamento rinvenuti nelle necropoli locali.
Una fortunata posizione geografica ha determinato in età protostorica il popolamento e lo sviluppo dell’area del Conero, capace di offrire approdi sicuri alle navi provenienti dall’ Egeo orientale e dalla Grecia.
L’Antico insediamento di Numana verso la metà del VI secolo a.C. acquisì un ruolo importante nella gestione del commercio marittimo e il suo porto divenne uno dei più importanti dell’Adriatico almeno fino alla metà del III secolo a.C.
Numana era lo snodo tra la rotta transadriatica di collegamento con la Dalmazia (Zara) e quella che risaliva verso l’alto Adriatico (Adria e Spina) con una navigazione di cabotaggio, lungo la costa.
L’area portuale di Numana fu un dinamico centro di traffici commerciali che si irradiavano verso l’entroterra appenninico, l’Italia meridionale ma anche a nord, verso i mercati padano-veneti sino alle regioni transalpine.
Attraverso queste rotte, i Piceni commerciavano oggetti e materie prime di prestigio tra i quali, per l’appunto, i più sofisticati reperti in ambra riscontrati poi nei corredi funebri.
Nella necropoli di Montedinove, costituita da venti tombe, spicca in particolar modo la numero tredici, la peculiare tomba doppia che vanta il ritrovamento del corpo di una donna nella sezione inferiore e quello di un uomo nella sezione superiore.
Il corredo funebre femminile vanta due tra i più preziosi gioielli con l’uso di questa pietra pregiata a scopo ornamentale: trattasi di una collana di grani d’ambra con il grano centrale in pasta vitrea lavorata e di una una fibula di circa 25 cm di lunghezza, ritrovata sul capo della donna che rappresenta ad oggi il reperto più pregiato, risalente al VII sec. a.C. nel cui arco era infilato un blocco d’ambra dalle dimensioni eccezionali.
Il prestigioso reperto è oggi conservato presso il Museo Archeologico di Ascoli Piceno.
Sempre nella necropoli di Montedinove, sono stati rinvenuti innumerevoli pezzi d’ambra, tra i quali il celebre e inconfondibile leone che, insieme ad altri intarsi a mano provenienti dei ritrovamenti di Belmonte Piceno, testimoniano sia le rotte commerciali nel lontano oriente – essendo alcuni di produzione estera – ma anche l’abilità degli artigiani locali che avevano nel periodo di massimo splendore appreso le tecniche di lavorazione.
Eschilo, Le Eliadi, frammento 32.
Ovidio, Le metamorfosi
Liudvikas Adomas Jucevičius, Jūratė e Kastytis
Alessandro Naso, I Piceni. Storia e archeologia delle Marche in epoca preromana, Longanesi & C., Milano 2000.
Giacomo Recchioni, Pikenoi, 2019, Andrea Livi Editore, Fermo.
Archeo Piceno